Condannato a sopravvivere. Sopravvivere per raccontare

Ferruccio Laffi non dimentica. Sente ancora le grida, sente il dolore che urla dentro di lui, lo avvolge, lo soffoca e lo costringe a ricordare che lui è un sopravvissuto. Non può dimenticare la strage di Marzabotto, anche se sono passati tanti anni.
Lui aveva 16 anni e viveva a Monte Sole con la sua grande famiglia: i genitori, sette fratelli, nove nipoti, due cognate.
Il 29 settembre 1944 iniziò la più spietata e crudele operazione di tutta la guerra: i nazisti, arrivati sull’Appennino bolognese decisero di vendicarsi degli italiani e fare terra bruciata intorno ai partigiani della Brigata Stella Rossa. Non risparmiarono nessuno: bambini, anziani, donne, uomini. Casa per casa, i nazisti entravano e sparavano. Anche nelle chiese, dove si erano rifugiate molte persone, sperando di fuggire così alla barbarie nazista. Anche nelle scuole.
Non ebbero pietà dei neonati, alcuni furono decapitati, o buttati vivi tra le fiamme. In una settimana furono uccise circa 800 persone, tra cui anche quasi tutta la famiglia di Ferruccio Laffi.
Lui si salvò solo perché il padre gli aveva detto di andare a nascondersi nel bosco, insieme ai due fratelli più grandi, pensando che i nazisti avrebbero prelevato solo gli uomini abili al lavoro, e quindi donne, bambini e anziani non rischiavano nulla.
Purtroppo si sbagliava. I nazisti uccisero tutti quelli che trovarono.
Ferruccio Laffi è un sopravvissuto, e vuole che la sua storia si sappia. Lui l’ha raccontata pure in un’aula di tribunale, contribuendo così alla condanna all’ergastolo di una decina tra ufficiali e soldati nazisti, anche se poi le sentenze non sono mai state eseguite e nessuno è finito in prigione.
Ma nonostante la mancata giustizia, quel processo fu comunque fondamentale per Ferruccio Laffi:
“Quel processo stravolse la mia vita. Consegnare il mio racconto al mondo mi cambiò. Non subivo più quei fatti da solo, ma sentivo di poter essere compreso… Da quel momento, ebbi la certezza che la mia storia non riguardasse solo me, ma potesse avvicinare tutti. L’idea di essere il solo a poter capire quello che mi era successo si fondava sulla mancanza di fiducia negli altri. Se non fossi stato costretto a testimoniare in pubblico non avrei mai scoperto tutto questo… . E allora ho compreso che se ero stato condannato a sopravvivere era perché a me spettava il dovere di raccontare”.
E per questo a distanza di settantasette anni, non possiamo permetterci di dimenticare questa terribile pagina della nostra storia.
La farfalla della gentilezza
(Ferruccio Laffi ha raccontato la sua drammatica storia nel libro di Margherita Lollini, Io, sopravvissuto di Marzabotto, Longanesi, 2021).
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