Etty Hillesum

“Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni”.
Questa è una cartolina di Etty Hillesum, scritta nel settembre 1943.
Etty era nata il 15 gennaio 1914 da una famiglia agiata di origine ebrea. Lei era uno spirito libero, curiosa e intellettuale: si era laureata in giurisprudenza all’università di Amsterdam, ma aveva studiato anche letteratura russa e si interessava di psicologia.
Il treno di cui parlava nella cartolina era partito da Westerbork, un campo di transito nel nord dei Paesi Bassi.
Ogni settimana da lì partiva un treno per andare verso est, destinazione ignota. Non si sapeva mai in anticipo chi sarebbe dovuto partire e chi avrebbe avuto il privilegio di restare ancora un po’ nel limbo di Westerbork. La lista veniva resa nota solo all’ultimo, scatenando il panico in chi era costretto in fretta e furia a salire su un treno senza conoscerne la destinazione.
Etty aveva solo 29 anni e nel campo di Westerbork ci era finita volontariamente due anni prima: avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, ma voleva assistere la sua famiglia, che era stata deportata lì, e riteneva “una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un destino di massa”.
Etty voleva aiutare gli altri, i malati, i bambini, gli internati. Intorno a lei il mondo cadeva a pezzi, ma lei non perdeva serenità, non per rassegnazione o mancanza di volontà ma come scriveva: “c’è ancora spazio per l’elementare sdegno morale contro un regime che tratta così gli esseri umani. Ma le cose che ci accadono sono troppo grandi, troppo diaboliche, perché si possa reagire con un rancore e un’amarezza personali”.
Nell’ultimo periodo aveva tenuto un diario e scritto moltissime lettere. Con un intento quasi giornalistico, ma con un’anima da scrittrice, Etty voleva raccontare quello che stava accadendo, con estrema lucidità e con riflessioni acute e profonde e cariche di un inaspettato ottimismo. Per questo prima di partire per Westerbork aveva affidato il suo diario a un’amica, chiedendole di pubblicarlo qualora non fosse più tornata. E quando dal campo di Westerbork Etty salì su quel treno, ebbe l’istinto o l’ostinazione di scrivere un’ultima cartolina per documentare la sua storia. Non poteva spedirla, ovviamente, e allora la lanciò dal finestrino. Se noi oggi la possiamo leggere è solo perché una persona gentile la raccolse e la spedì all’indirizzo indicato.
Quella cartolina è l’ultima testimonianza di Etty Hillesum, perché quel maledetto treno il giorno dopo si fermò ad Auschwitz.
I genitori e il fratello furono immediatamente mandati alle camere a gas. Etty riuscì a sopravvivere altri due mesi. Morì il 30 novembre.
Solo nel 1981 il suo diario è stato pubblicato, dandoci la possibilità di conoscere la straordinaria sensibilità di una giovane donna, che negli anni più bui della storia e della sua vita, aveva la forza di scrivere:
“Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver fatto prima la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove”
(Il diario di Etty Hillesum è pubblicato in Italia da Adelphi, 2012)

https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/642374420440264