Harriet, la donna che ebbe tre nomi

Harriet in questa immagine ci tende una mano, forse ci vuole aiutare, così come durante la sua vita incredibilmente avventurosa non ha mai smesso di tendere la mano agli altri.
Anche se Harriet non aveva niente da dare perché le avevano tolto tutto.
Tutto tranne il suo coraggio e la sua straordinaria forza di volontà.
Harriet Tubman, la donna che ebbe tre nomi, quando nacque, nel 1822 circa, in realtà si chiamava Araminta Ross.
Dolore e sofferenza erano scritte nella storia della sua famiglia: i suoi bisnonni erano stati deportati dall’Africa, in catene, e come schiavi in America avevano vissuto i suoi nonni e poi i suoi genitori.
Quando Araminta Ross aveva sei anni, fu separata dalla sua famiglia. I suoi genitori, senza diritti e senza tutele, non poterono far nulla per impedire che la piccola venisse venduta.
A sei anni dovette fare da tata a un neonato. Se lui piangeva, lei veniva frustata. Questa era la vita nel Maryland, due secoli fa.
Quando Araminta aveva 13 anni, fu colpita in testa da un padrone che voleva fermare la fuga di uno schiavo. Le ordinò di trattenerlo, lei si rifiutò e lui le lanciò un oggetto di metallo in testa. Miracolosamente Araminta si salvò, ma la botta le lasciò delle conseguenze fisiche.
Quando Araminta Ross aveva circa una ventina d’anni si sposò con John Tubman e divenne Harriet Tubman.
Ma non era libera, sempre alla mercé di qualcuno che poteva decidere al posto suo.
Davanti alla prospettiva di essere venduta nuovamente, Harriet decise di scappare, anche se era molto pericoloso. Ma non c’erano alternative, se non poteva avere la libertà, avrebbe rischiato la morte.
Harriet riuscì a scappare, arrivò in Pennsylvania, finalmente libera.
Ma non dimenticò mai il suo passato di sofferenza e nonostante la taglia sulla sua testa, Harriet per anni fece avanti e indietro con il Maryland per liberare i fratelli, i nipoti, e tanti altri schiavi: viaggiava di notte, seguendo la stella polare per guidare piccoli gruppi silenziosi in fuga dalla schiavitù verso altri stati abolizionisti, o in Canada e in Messico.
In quegli anni Harriet cambiò nome di nuovo, e divenne Mosè, il suo nome in codice per questa attività estremamente rischiosa, in cui però era bravissima: in tanti anni di fughe notturne, non perse mai un “passeggero”.
Quando scoppiò la Guerra di Secessione, Harriet capì che una vittoria dell’Unione avrebbe potuto facilitare l’abolizione della schiavitù. Allora si mise di nuovo in gioco in prima persona: lavorò per i Nordisti come spia, esploratrice, infermiera e infine guidò una spedizione armata nella Carolina del Sud liberando circa 700 schiavi.
Non smise mai di lottare: nonostante le difficoltà economiche, nonostante le offese subite anche dopo l’abolizione della schiavitù, nonostante il razzismo sperimentato continuamente sulla sua pelle (una volta le ruppero un braccio per farle cambiare scompartimento su un treno), Amarinta-Harriet-Mosè non smise mai di lottare per i più deboli.
Si occupò di anziani in difficoltà, di orfani, e poi sposò la causa del voto alle donne. Non si arrese mai, sempre un passo avanti, sempre un braccio teso, ad aiutare gli altri, fino alla morte nel 1913.
La farfalla della gentilezza
(La storia di Harriet Tubman è talmente incredibile che sembra un libro. E infatti sono stati scritti tanti libri su di lei. Ma la cosa più bella è far conoscere questa storia ai ragazzi, con il libro di Francesco Adamo, Oh Harriet, Giunti, 2018; Il murale, di Michael Rosato, si trova su una facciata dell’Harriet Tubman Museum, a Cambridge, Maryland).
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