Il dovere di ricordare che no, non tutti erano "brava gente"

Non ci fu una dichiarazione di guerra formale. L’invasione iniziò e basta.

I motivi erano tanti, alcuni più ufficiali, altri più reconditi. In ogni caso, nessun desiderio imperialista, nessuna rivalsa nei confronti delle grandi potenze europee, nessuna brama di terre fertili e risorse naturali, niente di tutto questo può giustificare “il disprezzo per l’avversario, l’assenza di pietà, l’inclinazione allo sterminio” che caratterizzò l’invasione italiana in Etiopia a partire dall’ottobre 1935. Invasione in cui noi italiani ci siamo macchiati di crimini orribili, che ancora oggi sono rimasti impuniti e soprattutto dimenticati.

Impuniti perché non c’è stata una Norimberga per gli orrori commessi dal fascismo italiano in Etiopia.

Dimenticati perché ancora oggi in un paese italiano, Affile, esiste inspiegabilmente una statua dedicata a uno dei più brutali protagonisti di quell’invasione: il generale Graziani.

Un uomo che, autorizzato da Mussolini, non si fece scrupoli di utilizzare i gas tossici, proibiti dalla Convenzione di Ginevra: tonnellate di bombe all’iprite in grado di sterminare in poco tempo migliaia di persone, dopo atroci sofferenze, come racconta questa testimonianza:

“Quel mattino non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini”.

Ma non basta: tanto era forte il desiderio di sterminio, che Mussolini pensò anche di ricorrere alla guerra batteriologica. Non lo fece solo perché troppo pericoloso e incontrollabile.

Ma non basta: non erano solo gas tossici e bombe a devastare l’Etiopia. I soldati italiani si scatenavano in vere e proprie cacce all’uomo, massacravano villaggi interi, incendiavano le modeste abitazioni, uccidevano donne e bambini. Oppure stupravano donne e bambini. Ci sono tante testimonianze di stupri a danno di bambini piccoli, di 8, 9 anni. Ci sono gli atti giudiziari di un processo a un ufficiale che segregò in casa e violentò per giorni una bambina di 9 anni. Fu condannato per violenza carnale, ma ottenne le attenuanti in quanto la bambina era senza famiglia.

Questo perché le donne africane non avevano alcun diritto agli occhi del colonizzatore italiano, che si sentiva superiore per classe, razza e genere.

Perché, sì, non dobbiamo aver paura di dirlo, eravamo barbaramente razzisti e assetati di sangue. Non eravamo brava gente.

Si può dire. Si deve dire. Perché solo se facciamo i conti con il nostro passato coloniale possiamo superarlo. Rimuovere non serve a nulla.

La farfalla della gentilezza

(Le citazioni virgolettate sono tratte dal libro di Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? Neri Pozza, 2005).

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