Il gelataio Tirelli

Francesco Tirelli aveva lasciato il suo paese in cerca di un futuro migliore. Veniva da un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, Campagnola Emilia, e negli anni Trenta decise di emigrare in Ungheria, a Budapest, dove aprì una gelateria.
Lì il gelato italiano ebbe molto successo, tanti bambini frequentavano abitualmente la piccola gelateria di Francesco e tutto sembrava andare per il meglio.
Ma era solo un’illusione perché presto tutto cambiò. In peggio.
Nel 1944 la follia nazista arrivò anche a Budapest: Hitler occupò l’Ungheria e con la complicità del partito razzista e antisemita delle Croci Frecciate, mise in atto una delle più terribili operazioni di sterminio della Seconda guerra mondiale.
Nel corso di pochi mesi, dall’aprile al luglio del 1944, furono deportate ad Auschwitz circa 440.000 persone.
Francesco in quanto italiano pensava di essere relativamente al sicuro. Ma non erano al sicuro i tanti clienti ebrei che avevano frequentato la sua gelateria.
E questa cosa non lasciò Francesco indifferente: non voleva e non poteva restare a guardare mentre quei bambini, con i quali ormai aveva fatto amicizia, rischiavano la vita.
Così Francesco decise di agire, e fece in piccolo quello che un altro nostro connazionale, Giorgio Perlasca, sempre in Ungheria, riuscì a fare in grande.
Non si tirò indietro: mise a disposizione la sua gelateria per salvare vite umane. Iniziò in sordina, con molta discrezione, invitando i clienti più vicini, più stretti. Li nascondeva nel suo retrobottega. Poi quando diventarono troppi, sfidando il pericolo delle delazioni così frequenti, cercò di procurare altri alloggi, altri nascondigli, altre sistemazioni. In alcuni casi acquistò anche passaporti falsi. Portava cibo, notizie, amicizia e conforto per quelle persone recluse in pochi metri che ormai dipendevano in tutto e per tutto da lui.
E lui riuscì a salvarle: non si sa esattamente quante persone devono a lui la vita. C’è chi dice 15-20, chi dice molti di più. Ma l’umanità di questo gesto non può essere ridotta a una mera contabilità.
Il gesto di Francesco Tirelli è una luce che brilla negli anni più bui della storia, il suo coraggio e la sua umanità rappresentano la più grande risposta all’orrore di quel periodo, dove oltre che dalla follia omicida dei nazisti, le persone dovevano salvarsi dalla crudeltà dei collaborazionisti e dall’indifferenza di troppa gente.
Ecco, la storia del gelataio Francesco Tirelli ci riscatta in parte da quell’orrore, per restituire speranza e fiducia nel genere umano.
La farfalla della gentilezza
Su Francesco Tirelli c’è un bellissimo libro per bambini: “Il gelataio Tirelli” (Gallucci, 2018), scritto da Tamar Meir, nuora di Yitzhak Meir, uno dei piccoli clienti di Francesco che ha vissuto per mesi, con la sua famiglia nella gelateria. Se Yitzhak è sopravvissuto e ha potuto sposarsi, avere figli e nipoti è solo grazie al coraggio di Tirelli, e per questo ha voluto diffondere la storia del suo benefattore, morto nel 1954. Per chi volesse cominciare a parlare ai bambini dell’Olocausto, questo può essere un modo delicato per affrontare un argomento tanto difficile e drammatico.