"Il mio dovere è essere con la gente affidata a noi"

Un ragazzo giovane, ventenne, si sacrifica per salvare 22 persone, degli sconosciuti.
Innocenti come era innocente lui, Salvo D’Acquisto, che davanti alla ferocia dei nazisti decise di donare la sua vita per salvare gli altri.
Cosa era successo?
Salvo D’Acquisto era un carabiniere, un ragazzo come tutti gli altri: nato a Napoli, il 15 ottobre del 1920, aveva studiato al liceo classico, per un breve periodo era anche entrato al conservatorio, come baritono.
Però poi sentendo la necessità di lavorare e guadagnare, lasciò gli studi, ed entrò nell’arma.
Dopo una breve esperienza in Libia, dove fu ferito, nel 1942 fu promosso vice-brigadiere e assegnato alla stazione dei carabinieri di Torrimpietra, non lontano da Roma.
Però dopo l’8 settembre arrivarono delle truppe tedesche che si accamparono nelle vicinanze di Palidoro, lì vicino, presso una caserma della guardia di finanza ormai abbandonata. La presenza nazista era chiaramente fonte di tensioni, ma a chi gli suggerì di andarsene a Roma, Salvo D’Acquisto rispose: “Il mio dovere è di essere con la gente che è stata affidata a noi”.
Nel pomeriggio del 22 settembre 1943, mentre i soldati tedeschi rovistavano tra scatole e scatoloni abbandonati nella caserma, all’improvviso esplose un ordigno. Molto probabilmente si trattava dell’esplosione accidentale di un ordigno sequestrato dai finanzieri ai pescatori di frodo, e lasciato lì incustodito. Ma per i tedeschi era senza dubbio un attentato, nel quale aveva perso la vita un loro soldato e altri erano rimasti feriti. Qualcuno doveva pagare.
Salvo d’Acquisto provò a spiegare che si trattava di un incidente, un caso fortuito, ma i tedeschi non vollero sentire ragioni e imposero la rappresaglia: in assenza di un responsabile avrebbero giustiziato 22 persone.
Scelte a caso.
Così il 23 settembre iniziarono i rastrellamenti: furono catturati e caricati su una camionetta ragazzi e adulti, senza alcun criterio. Muratori che stavano riparando un tetto, fabbri, venditori ambulanti, un fornaio. Il più giovane aveva solo 13 anni, ma fu fatto scendere dal camion, in un inedito momento di pietà dei nazisti. Il più anziano tra loro, Giuseppe Carinci, aveva 70 anni, provò a fuggire e fu ucciso immediatamente. Erano padri di famiglia, erano figli, erano persone del tutto estranee ai fatti, che avevano l’unica colpa di trovarsi per strada in quel momento. Furono attimi di terrore, tutti avevano ormai capito cosa stava succedendo.
I nazisti portarono gli ostaggi sotto la torre di Palidoro, e prelevarono anche Salvo D’Acquisto: volevano il vicebrigadiere come testimone, o come garante di un’apparente legalità al massacro. I testimoni raccontarono che rimase dignitoso e composto, e fino all’ultimo cercò di tranquillizzare gli ostaggi, anche quando fu picchiato e preso a bastonate.
Agli ostaggi venne ordinato di scavare una fossa comune, alcuni con le vanghe, alcuni con le mani. Per sei lunghe ore con i mitra spianati alle spalle. Per sei ore dentro la fossa che avrebbe dovuto accogliere i loro corpi.
Ma all’ultimo momento, inaspettatamente, le SS fecero un appello, e tutti quelli che venivano chiamati potevano uscire dalla fossa. Tutti, tranne il giovane vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, che poco prima era stato visto parlare con l’interprete che subito lo aveva condotto dal comandante tedesco.
Per salvare 22 vite umane aveva deciso di sacrificarsi, autoaccusandosi del presunto attentato.
Qualcuno lo sentì dire, prima di morire, “Viva l’Italia”. Qualcun altro “Una volta si nasce e una si muore”.
È una storia nota, che ci raccontano già alla scuola elementare, ma va raccontata sempre, raccontata a tutti, raccontata ancora.
Per non dimenticare.
La farfalla della gentilezza
https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/585076399503400