Italiani brava gente?

“C’era una volta un popolo, e un giorno questo popolo dice che il suo paese gli sta stretto, non trova più così bello ciò che ha e non gli basta più niente. Ma poi vede delle terre non sue, lontane o vicine poco importa, e comincia a desiderarle in modo matto e disperatissimo. Un po’ come quando vedi un bel dolce nella vetrina di un pasticciere e non hai i soldi per comprarlo. Cominci a desiderare tutto, di quella torta: la crema, la cioccolata, la sfoglia e la ciliegina naturalmente. Vorresti mangiartela tutta, gnam, in un sol boccone, e farla sparire nella pancia in un secondo e mezzo”.
Ed è quanto è successo in Africa con il colonialismo, che no, non è iniziato con il fascismo, dato che le mire espansionistiche italiane risalgono alla seconda metà dell’Ottocento.
E soprattutto no, non era un colonialismo innocuo. Non eravamo “brava gente”. Il colonialismo italiano è stato orrendo, violento e criminale. Ma dal momento che ancora oggi non siamo in grado di fare i conti con il nostro passato coloniale, certi argomenti sembrano quasi intoccabili.
Forse, solo per fare un esempio, si dovrebbero studiare a scuola le gesta del generale De Vecchi, che si meritò il triste soprannome di “macellaio dei somali”, ricordato per aver instaurato una vera e propria politica del terrore, e aver importato in Somalia i metodi terroristi dello squadrismo fascista.
Ma si dovrebbero anche ricordare gli orrori compiuti dal generale Rodolfo Graziani, soprannominato il macellaio del Fezzan. Graziani fu inviato in Libia da Mussolini con il compito di sedare la resistenza anticoloniale guidata da Omar al-Mukhtàr, eroe nazionale libico. Per raggiungere il suo scopo non esitò a deportare la popolazione civile che dava sostegno ai ribelli, in appositi campi di concentramento. Furono deportate circa 100.000 persone in tredici campi, la maggior parte anziani, donne e bambini, dato che i giovani erano tutti uniti ai ribelli. Circa la metà però morirono di stenti, di fame, di sete, o per le pessime condizioni igienico sanitarie. Altri morirono per esecuzioni sommarie. Per un totale di circa 50.000 morti: si può parlare di genocidio?
In Etiopia, invece, autorizzato da Mussolini, Graziani utilizzò direttamente i gas tossici tra il 1935 e il 1937: le bombe all’iprite (espressamente vietate dalla Convenzione di Ginevra) erano in grado di sterminare in poco tempo decine di migliaia di persone.
Si potrebbe continuare a lungo a raccontare gli orrori di una guerra terribile, i soprusi, le vessazioni, le violenze sulle donne. Il razzismo istituzionalizzato e veicolato nella propaganda, nelle canzoni, nei film, perfino nei fumetti per bambini.
Non è mai troppo tardi per rimediare, ma in attesa delle scuse ufficiali (semmai arriveranno), la cosa migliore che possiamo fare è non dimenticare questa parte vergognosa della nostra storia, affinché non ci sia la tentazione di rimuovere un passato tanto scomodo quanto poco conosciuto (nonostante il lavoro insostituibile di uno studioso come Angelo Del Boca).
E di questo si deve parlare anche ai più giovani.
Magari attraverso le parole di Igiaba Scego, che con delicatezza e tenerezza ricostruisce la storia della sua famiglia e la Storia di anni bui e dolorosi, nel bel libro: “Figli dello stesso cielo. Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi”, Piemme, 2021, da cui è tratta la citazione iniziale.
La farfalla della gentilezza
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