La forza di Rigoberta
Cancun, Messico 2007. Lei è seduta nella hall dell’albergo, quando due zelanti dipendenti le intimano di andarsene. La cacciano perché, ingannati dai suoi vestiti sgargianti, l’hanno scambiata per una venditrice ambulante. Peccato che lei sia un premio Nobel, che si trova in quell’albergo per rilasciare un’intervista, raccontare una storia di ben altre offese, sofferenze e dolore. Ma si sa che i pregiudizi non finiscono mai…
Guatemala, anni sessanta. Lei è solo una bambina di cinque anni ma deve già lavorare nelle piantagioni di caffè e mais in condizioni durissime. Molti suoi coetanei non sopravvivranno. Subisce umiliazioni e mortificazioni solo perché è una indigena, una quiché, comunità autoctona appartenente al gruppo etnico dei Maya, mal tollerati dalla minoranza bianca che domina e sfrutta il paese.
Guatemala, anni settanta. Il paese è dilaniato dalla guerra civile, e l’esercito avvia un progetto di scientifica distruzione delle comunità indigene, accusate di appoggiare la guerriglia dei contadini. In particolare il dittatore Efrain Ross Montt decide di sterminare tutti, uomini, donne, bambini e poi fare terra bruciata di tutto quello che rimane. Vuole cancellare dalla faccia della terra un intero popolo. Anche il loro ricordo. In quegli anni bui verranno massacrate più di 200.000 persone, un milione e mezzo circa saranno gli sfollati e 50.000 i desaparecidos. Lei ha una ventina d’anni, e in questi massacri perde la madre, i fratelli, il padre. Ma lei non fa passi indietro: partecipa all’organizzazione sindacale “Comitato di Unità Contadina”, è un’attivista per i diritti dei più deboli, ma anche e soprattutto una pacifista convinta. Orgogliosamente rivendica la non violenza, l’istruzione e il rispetto di tutte le persone come strumenti per ottenere giustizia, libertà ed eguaglianza. Capisce che è necessario imparare lo spagnolo, la lingua degli oppressori, per rompere il silenzio assordante nel quale sta morendo il suo popolo.
Lei viaggia, viene in Europa, racconta la sua storia straziante che sarà raccolta in un libro che sveglierà le coscienze di chi non sapeva nulla di questo genocidio.
Stoccolma 1992. Il premio Nobel per la pace viene assegnato a lei, una giovane donna combattiva di soli 33 anni, Rigoberta Menchú, una donna che non ha mai fatto passi indietro: una donna che ancora oggi lotta e combatte contro le ingiustizie, l’ignoranza, i pregiudizi, il razzismo. Rigoberta Menchú vuole far conoscere al mondo quello che è successo nel suo paese, ma che purtroppo potrebbe capitare ovunque, perché, come ha detto:
“Quando qualcuno si vergogna delle proprie radici o si sente superiore delle culture altrui, l’umanità fa un passo indietro”.
La farfalla della gentilezza
https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/177976043546773
(La storia di questa donna straordinaria è stata raccontata la prima volta nel libro di Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchú, Giunti, 1983).
Guatemala, anni sessanta. Lei è solo una bambina di cinque anni ma deve già lavorare nelle piantagioni di caffè e mais in condizioni durissime. Molti suoi coetanei non sopravvivranno. Subisce umiliazioni e mortificazioni solo perché è una indigena, una quiché, comunità autoctona appartenente al gruppo etnico dei Maya, mal tollerati dalla minoranza bianca che domina e sfrutta il paese.
Guatemala, anni settanta. Il paese è dilaniato dalla guerra civile, e l’esercito avvia un progetto di scientifica distruzione delle comunità indigene, accusate di appoggiare la guerriglia dei contadini. In particolare il dittatore Efrain Ross Montt decide di sterminare tutti, uomini, donne, bambini e poi fare terra bruciata di tutto quello che rimane. Vuole cancellare dalla faccia della terra un intero popolo. Anche il loro ricordo. In quegli anni bui verranno massacrate più di 200.000 persone, un milione e mezzo circa saranno gli sfollati e 50.000 i desaparecidos. Lei ha una ventina d’anni, e in questi massacri perde la madre, i fratelli, il padre. Ma lei non fa passi indietro: partecipa all’organizzazione sindacale “Comitato di Unità Contadina”, è un’attivista per i diritti dei più deboli, ma anche e soprattutto una pacifista convinta. Orgogliosamente rivendica la non violenza, l’istruzione e il rispetto di tutte le persone come strumenti per ottenere giustizia, libertà ed eguaglianza. Capisce che è necessario imparare lo spagnolo, la lingua degli oppressori, per rompere il silenzio assordante nel quale sta morendo il suo popolo.
Lei viaggia, viene in Europa, racconta la sua storia straziante che sarà raccolta in un libro che sveglierà le coscienze di chi non sapeva nulla di questo genocidio.
Stoccolma 1992. Il premio Nobel per la pace viene assegnato a lei, una giovane donna combattiva di soli 33 anni, Rigoberta Menchú, una donna che non ha mai fatto passi indietro: una donna che ancora oggi lotta e combatte contro le ingiustizie, l’ignoranza, i pregiudizi, il razzismo. Rigoberta Menchú vuole far conoscere al mondo quello che è successo nel suo paese, ma che purtroppo potrebbe capitare ovunque, perché, come ha detto:
“Quando qualcuno si vergogna delle proprie radici o si sente superiore delle culture altrui, l’umanità fa un passo indietro”.
La farfalla della gentilezza
https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/177976043546773
(La storia di questa donna straordinaria è stata raccontata la prima volta nel libro di Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchú, Giunti, 1983).