Le foto di Shabana

Shabana ha vinto un premio prestigioso.
Ma non lo ha potuto ritirare.
Shabana Zahir ha venti anni, è cresciuta con la nonna, la mamma, la sorella e il fratello a Baghlan, nel nord dell’Afghanistan.
Nel 2016 la madre decide che non possono continuare a restare lì. Troppo pericoloso, e poi lì non c’è un futuro per i ragazzi, anzi, non c’è nemmeno un presente. Ma non possono salire su aereo e andare dove vogliono.
Scappano di notte, dopo aver salutato a malincuore la nonna, e affrontano un viaggio interminabile attraverso l’Afghanistan, l’Iran, la Turchia. Camminano, superano valichi e montagne, portano via da casa tutto quello che possono portare sulle spalle. Ma sono mesi lunghissimi e durissimi, a piedi, nascosti nei boschi, in fuga dalle polizie di vari paesi che li bracca come criminali. Ma loro sono solo persone normali che vogliono andare via da un paese che cade a pezzi, e dove la loro vita vale troppo poco.
Dalla Turchia fanno quello che fanno in tanti: salgono su un barcone per arrivare in Grecia. Da lì vorrebbero tentare la rotta balcanica, ma non ci riescono, perché finiscono bloccati nel campo profughi di Diavata, a Salonicco.
Passano i mesi, ma loro sono ancora lì, in un tempo eternamente sospeso, in attesa dei documenti per andare in Germania, dove sperano di rifarsi una vita.
Ma passano due anni.
Shabana sta passando gli anni migliori della sua vita bloccata in un campo profughi, dove il tempo non passa mai, e le speranze vengono cristallizzate in un’attesa infinita.
Finché un giorno al campo profughi arriva “Una mano per un sorriso”, onlus italiana, e Shabana inizia a seguire le lezioni di fotografia tenute da Mattia Bidoli, in arte il Mago Flip. Un personaggio straordinario, che fa il mago, il prestigiatore, il fotografo, ma soprattutto tanto volontariato in giro per il mondo. Per molti anni ha portato i suoi spettacoli nei posti che più ne avevano bisogno: ospedali, orfanotrofi, carceri. Ora come fotografo si occupa di zone di guerra, di campi profughi, non solo per documentare la sofferenza inevitabile di questi posti, ma per dare un reale aiuto a chi in questi luoghi è costretto a viverci.
Nel campo profughi di Diavata ha aperto una scuola di fotografia. E la fotografia ha aperto gli occhi di Shabana sul suo mondo, e le ha dato una spinta a uscire dal container per guardarsi intorno.
Shabana è brava, ha talento e fotografa quello che vede, come lo vede, con la sua sensibilità.
Mattia le suggerisce di mandare le foto al Global Peace Photo Award, prestigioso premio internazionale.
E le sue foto, dal titolo Our Journey, non solo vengono selezionate, ma Shabana si aggiudica il secondo posto.
Un grandissimo successo per una giovane ragazza di soli venti anni.
Un grandissimo onore, però Shabana non è potuta andare a Vienna a ritirare il premio. Perché non ha i documenti.
E anche se le sue foto parlano per lei in giro per il mondo, la sua vita è ancora confinata nell’eterno presente senza futuro di un campo profughi.
La farfalla della gentilezza
Foto di Shabana Zahir
https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/597876321556741

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