Smart working: è l'ambiente che ce lo chiede!

"Questa generazione, la vostra generazione, è la più minacciata dai cambiamenti climatici. Avete ragione a chiedere una responsabilizzazione, a chiedere un cambiamento. La transizione ecologica non è una scelta - è una necessità. Abbiamo solo due possibilità. O affrontiamo adesso i costi di questa transizione. O agiamo dopo - il che vorrebbe dire pagare il prezzo molto più alto di un disastro climatico”.

Queste le giustissime parole di Draghi pochi giorni fa a Milano, a Greta Thunberg, Vanessa Nakate e Martina Comparelli, in rappresentanza dei giovani attivisti di tutto il mondo.
Giusto, giustissimo.
Però.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa pandemia è che lo smart working fa bene all’ambiente.
È evidente: meno spostamenti inutili, meno emissioni, meno smog, meno traffico. Città più vivibili.
Eppure, non è nemmeno finita la pandemia, ed ecco che lo smart working è improvvisamente diventato un tabù. L’alibi per i fannulloni. Non credo che allo stato attuale possiamo considerare lo smart working un lusso, ma almeno in forma parziale è una necessità che l’ambiente ci impone, in attesa di quella transizione ecologica di cui tanto si parla che però richiederà anni...
Addirittura, il Piano di Ripresa e Resilienza parla di smart working solo sotto due aspetti: per far conciliare casa e lavoro alle donne (perché ovviamente sono le donne che caricano la lavatrice mentre fanno una video riunione!) e per consentire ai disabili di lavorare (giustissimo. Ma sarebbe ancora più giusto eliminare le barriere architettoniche in modo che i disabili possano andare dove vogliono). Ma il PNRR non parla di smart working in relazione all’ambiente.
Il che è bizzarro. Perché è sotto gli occhi di tutti il peggioramento della qualità della vita nelle grandi città: traffico impazzito, serpentoni d’auto, distanze brevi che diventano impossibili.
Ovvio che è meglio andare a piedi, con i mezzi, in bicicletta o a nuoto nel Tevere. Ovvio che è meglio fare vita di quartiere. Ovvio che i cittadini debbano fare la loro parte anche se i servizi e le infrastrutture sono insufficienti, nell’attesa che un domani le cose miglioreranno.
Ma comunque può capitare di dover prendere la macchina.
Presidente Draghi, vuole affacciarsi un lunedì pomeriggio qualunque sulla Tiburtina? Così per avere un’idea di quello che succede a Roma?
Poi, mi chiedo: ma lo Stato che vuole gli adulti in ufficio in presenza, è lo stesso Stato che ai primi di ottobre ancora tiene le scuole aperte poche ore al giorno per carenza di organico? Che costringe i genitori con più figli a corse al cardiopalma o attese snervanti perché i protocolli anticovid impongono orari di entrata e uscita sfalsati?
Ma il covid allora è finito per rientrare in ufficio, ma non è finito per normalizzare le scuole?
Direi che c’è qualcosa che non va.
Cosa possiamo fare?
“La transizione ecologica non è una scelta, è una necessità”.
Giusto.
Allora da dove cominciamo?
La farfalla della gentilezza
(In foto: Fairy lake tree, paesaggio idilliaco in Canada, da visualizzare mentalmente mentre si resta bloccati nel traffico, per non impazzire. Foto di TJ Watt)
https://www.facebook.com/lafarfalladellagentilezza/posts/576986180312422