I VISTI DELLA VITA

Chiune non voleva diventare medico. Suo padre invece lo voleva vedere col camice bianco e così, controvoglia, Chiune Sugihara andò a sostenere l’esame di ammissione a medicina. Ma Chiune era testardo, non voleva fare il medico, voleva studiare le lingue, magari poi insegnare, e così decise di sbagliare le risposte.
Il padre allora gli tagliò i viveri. Ma Chiune era intelligente e studioso, imparò bene l’inglese, il tedesco e il russo, e presto lasciò il Giappone per iniziare la carriera diplomatica.
Nel 1939 era appena diventato viceconsole a Kaunas, in Lituania, quando iniziò la Seconda guerra mondiale.
Molti profughi ebrei arrivarono in Lituania dalla Polonia, ma nemmeno lì erano al sicuro e cercarono di scappare, in qualunque paese li avesse accolti. In quel momento l’unica possibilità era la fuga verso est, verso il Giappone.Sugihara_bjpg
Chiune aveva capito perfettamente che gli ebrei erano veramente in pericolo e allora decise che in attesa di chiare istruzioni da Tokyo, avrebbe firmato lui dei permessi di transito, anche per chi non aveva i requisiti, anche per chi non aveva i documenti. Poi arrivarono le direttive del governo giapponese, che rifiutava di accogliere i profughi e intimava a Chiune di non rilasciare i visti. Chiune però decise di andare avanti lo stesso, e per giorni lavorò senza sosta, aiutato anche dalla moglie Yukiko, senza nemmeno dormire la notte, pur di scrivere il maggior numero possibile di visti.
Quando il consolato fu chiuso, Chiune continuò a firmare i “visti della vita” dal salone di un albergo, e poi addirittura dal treno che lo stava portando a Berlino. Voleva farne il più possibile, perché non erano solo documenti di viaggio, ma veri e propri salvavita. Ne rilasciò circa 6000.
Chiune non divenne medico, ma come diplomatico salvò moltissime vite, forse più di quelle che avrebbe mai potuto salvare se avesse veramente indossato il camice bianco.
 La farfalla della gentilezza 

(Nel libro "I giusti", Iperborea, 2019, Jan Brokken ricostruisce la vicenda di Chiune Sugiihara e del console olandese Jan Zwartendijk, anche lui protagonista di un'impresa analoga)
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