- Scusi lei è la vedova del decorato? -
- No! la decorata sono io.
Così rispose Lucia Ottobrini al Ministro Taviani, durante la cerimonia di assegnazione della medaglia d’argento al valore militare, nel 1953.
Certo oggi dovrebbe fare meno scalpore una donna decorata per il coraggio. All’epoca il coraggio di Lucia Ottobrini fu definito “virile” nella motivazione dell’onorificenza.
Ma la storia di Lucia parla da sola, non abbiamo bisogno di confronti con termini di paragone maschili.
Lucia Ottobrini nasce nel 1924 a Roma, ma fino al 1940 vive in Alsazia, dove il padre faceva il carpentiere. Una vita povera ma dignitosa, squarciata però dall’occupazione nazista. Alcuni membri della sua famiglia di origine ebraica saranno deportati e uccisi ad Auschwitz, come anche delle sue compagne di scuola.
Ritornano a Roma, ma sono anni durissimi, di fame, difficoltà, miseria. Lucia inizia a lavorare al Ministero del Tesoro, e nel 1943 durante il concerto di una banda musicale, incontra Mario Fiorentini, intellettuale comunista ed ebreo, con il quale si dedica al teatro civile, impegnato, per portare l’arte nelle periferie.
Ma poi la situazione precipita. E dopo l’8 settembre, Lucia entra nella Resistenza romana, insieme a Mario, con il quale resterà unita da un matrimonio e da un sodalizio indissolubile durato fino alla morte di lei nel 2015.
All’inizio si occupa di recuperare cibo e medicine per i prigionieri politici. Poi il suo impegno diventa sempre più intenso. Prende diversi nomi in codice, prima Maria e poi Leda. Nasconde le armi in casa, le distribuisce, partecipa ad atti di sabotaggio e soprattutto, grazie alla conoscenza del tedesco imparato in Alsazia, si può infiltrare tra i tedeschi per carpire informazioni utili. Sarà protagonista di diverse azioni e scontri a fuoco, fino a quando lascerà la Capitale per dirigere le operazioni dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) a Tivoli. Ma continuerà a percorrere chilometri a piedi per mantenere i contatti con i comandi a Roma, sotto le bombe, nascosta nella campagna laziale.
A distanza di anni dirà: “Ancora oggi durante le sere di maggio, quando il cielo è sereno mi sembra di risentire il rombo dei bombardieri”, ma senza alcuna nostalgia o retorica: "Non amo ricordare queste storie perché sono troppo brutte, mi fanno ancora male. Per me quel periodo è stata la parte più brutta della mia vita. La guerra è morte, per l'uno e per l'altro".