Karen Jeppe rimase molto colpita leggendo le notizie delle
prime persecuzioni degli armeni e delle drammatiche condizioni degli orfani
abbandonati per le strade.
Figlia di un maestro di scuola, era un’insegnante
anche lei: giovane danese di 27 anni decise di portare la sua esperienza dove
pensava ci fosse più bisogno. Così contattò l’associazione danese amici degli armeni
e partì per Urfa, oggi in Turchia. Non era un viaggio facile a quei tempi per
una ragazza sola, ma lei era molto determinata e affrontò il viaggio prima in
treno, fino in Italia, poi in nave fino a Istanbul, poi di nuovo treno, in
carrozza e infine a dorso d’asino.
Una volta arrivata a Urfa, per prima cosa dovette
imparare la lingua. Nel giro di un anno Karen parlava armeno, arabo e turco e
poté così iniziare il suo lavoro da maestra applicando nuovi metodi
sperimentali di insegnamento. I “suoi” bambini ottenevano ottimi risultati e
altri insegnanti venivano da lei ad apprendere i suoi metodi.
Comprò un pezzo di terra nelle montagne per dare
lavoro e cibo ai rifugiati armeni e avviò anche una piccola produzione di
ricami per finanziare le loro attività. Adottò anche due orfani.
Fin qui una bella storia di intraprendenza e
generosità.
Purtroppo però le cose cambiarono in peggio,
perché nel 1915, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, le persecuzioni
contro gli armeni diventarono un vero e proprio genocidio. Karen assistette
agli orrori delle deportazioni e delle lunghe marce forzate. Ma non rimase a
guardare: riuscì a salvare diversi armeni, dando loro vestiti arabi o curdi per
farli scappare, oppure nascondendo fuggiaschi in cantina, per proteggerli così
dalle marce della morte. Quando non poteva fare altro, cercava almeno di dare
un po’ di sollievo, offrendo acqua ai deportati in lunghe carovane.
Nel 1921, dopo essere rientrata in Danimarca per
qualche anno, si trasferì in Siria, ad Aleppo, per continuare a occuparsi degli
scampati ai massacri: aprì un ambulatorio, un orfanotrofio e anche una fabbrica
di vestiti per dare lavoro agli armeni. Lei poi vendeva i pezzi più pregiati in
Danimarca in modo da poter finanziare le sue attività: da una parte il problema
principale era dare una casa a chi ormai non aveva più nulla, e così dopo aver
preso in affitto degli appezzamenti di terra, fondò piccoli insediamenti di
contadini armeni fuori Aleppo. Ma rimaneva il problema di salvare tutte quelle
donne e bambini armeni che erano riusciti a salvarsi dai massacri e che poi
erano stati venduti come schiavi. Karen Jeppe cercò allora di ricomprarli, o di
farli scappare, per farli ricongiungere con le loro famiglie, almeno con quelle
famiglie superstiti. In tutto, riuscì a liberare circa 2000 donne e bambini.
Karen Jeppe avrebbe continuato a lungo con le sue
attività filantropiche e il suo impegno incessante, ma purtroppo, la “ragazza
di Urfa”, come veniva chiamata affettuosamente, morì a soli 59 anni di malaria.
Ma il ricordo del suo grande cuore è ancora vivo
nella memoria della comunità armena.