Claudette che non voleva cedere il posto

Non è importante passare alla storia, l’importante è farla, e soprattutto provare a cambiarla. In meglio.
Claudette Colvin voleva cambiare il mondo. Il suo mondo. La realtà in cui era costretta a vivere non le piaceva, ma come darle torto: da quando era piccola le avevano fatto credere di essere diversa dagli altri e di avere meno diritti degli altri. Se ne era resa conto a soli quattro anni quando, per aver fatto una cosa normalissima, dare la mano ad altri bambini, venne aspramente rimproverata. Perché quei bambini erano bianchi, e lei era nera, e i neri non potevano toccare i bianchi.
Claudette non riusciva a spiegarsi la ragione di tutto ciò, ma per tutta l’infanzia non poté fare altro che accettare questa follia fino quasi ad abituarsi. Ma a quante cose bisognava abituarsi nell’Alabama degli anni Cinquanta… quante rinunce, quante ingiustizie. Perché accettare come normale il fatto che lei non poteva provarsi un vestito in un negozio? Perché non poteva provare un paio di scarpe, ma doveva presentare una sagoma del suo piede e sperare di indovinare il modello e la taglia giusta? Perché non poteva sedersi dove voleva su un autobus? Perché tante differenze?
Claudette voleva cambiare il mondo, e cominciò a scrivere sul giornalino scolastico, a frequentare la chiesa Battista dove predicava Martin Luther King, a partecipare alle iniziative della National Association for the Advancement of Colored People, la principale organizzazione a sostegno dei diritti civili degli afroamericani.
Il 2 marzo 1955 Claudette, ormai sedicenne, stava tornando a casa. In autobus. Seduta su un posto riservato ai neri, ma da cedere ai bianchi in caso di sovraffollamento.
E qui Claudette fece la Storia, anzi cambiò la Storia, quando alla donna bianca che pretendeva il suo posto, lei, con gentile fermezza disse: “No. È un mio diritto costituzionale”.
A distanza di anni, Claudette, che oggi festeggia il suo ottantaduesimo compleanno, ricorda perfettamente: “È la Storia che mi ha tenuta incollata su quel sedile. Era come se le mani di Harriet Tubman da una parte, e di Sojourner Truth dall’altra mi spingessero verso il basso”.
Ma in realtà poi furono le mani di due poliziotti a trascinarla fuori dall’autobus e ad arrestarla per violazione delle leggi sulla segregazione oltre che disturbo della quiete pubblica e aggressione a pubblico ufficiale.
La comunità nera di Montgomery venuta a conoscenza dell’episodio portò solidarietà e assistenza a Claudette Colvin, che in quel frangente legò in particolare con la segretaria della sezione locale del NAACP, una sarta di nome Rosa.
E qui la Storia fa un altro giro di giostra: l’episodio di Claudette Colvin non fu utilizzato come miccia per far esplodere la protesta, perché lei era troppo giovane, troppo esuberante, forse anche troppo nera. Non era una figura rassicurante sulla quale tentare di convogliare la solidarietà anche dei bianchi.
Rosa invece era più adulta, mite, matura. Insomma, più adatta a diventare il simbolo della protesta che poi sfocerà nel boicottaggio degli autobus nove mesi dopo il NO di Claudette Colvin.
Rosa è Rosa Parks, che è entrata giustamente nei libri di storia per aver detto anche lei NO a chi le imponeva di alzarsi da un sedile di un autobus, un NO che porterà nel 1956 alla fine della segregazione razziale sui mezzi pubblici.
Claudette Colvin non è entrata nei libri di storia, e il suo gesto per troppo tempo è rimasto nascosto nelle pieghe di un passato recente poco noto.
Ma forse non è importante passare alla storia, l’importante è farla, e soprattutto cambiarla.
Buon compleanno Claudette Colvin!