Rita Levi Montalcini, non solo un premio Nobel...

Nonostante il padre avesse preferito vederla moglie e madre, Rita non solo si era laureata in medicina e specializzata in neurologia, ma si dedicava con entusiasmo alla ricerca.
Tuttavia, le leggi razziali del 1938 le impedirono di continuare la sua attività all’università di Torino.
Per questo andò in Belgio a proseguire le sue ricerche, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale la costrinse a rientrare a Torino, dove lavorò come medico clandestino: non poteva firmare le ricette, ma almeno poteva occuparsi dei suoi pazienti.
Aveva abbandonato le sue ricerche, pensando che le sue ambizioni personali e il suo desiderio di conoscenza, in un momento così grave e difficile per tutti, non fossero poi così importanti. Ma poi creò un piccolo laboratorio artigianale, nella sua camera da letto della casa di famiglia, dove installò microscopi, strumenti vari, e perfino una piccola incubatrice per i suoi esperimenti sugli embrioni di pollo.
Le armate naziste intanto seminavano morte e distruzione in tutta Europa, incursioni aeree britanniche minacciavano Torino e costringevano la gente a nascondersi nei rifugi sotterranei. Ma la paura dei bombardamenti era troppa, e allora Rita con la madre e le sorelle e il fratello (il padre era morto da anni) si trasferirono in una casa in campagna, nell’astigiano. Anche lì Rita riuscì a organizzare un piccolo laboratorio casalingo e a proseguire le sue ricerche, ma era sempre più difficile, tra interruzioni di corrente e difficoltà a recuperare i materiali.
Con l’8 settembre la situazione precipitò ulteriormente: carri armati tedeschi entrarono a Torino, e tutti gli ebrei erano in grande pericolo. Rita e la sua famiglia provarono a scappare in Svizzera, ma militari nazisti bloccavano la frontiera. Allora salirono su un treno, uno qualunque che viaggiava verso Sud, e arrivarono a Firenze, dove grazie a un’amica di Paola, la sorella gemella, trovarono un alloggio e rimasero a lungo nascosti sotto falso nome, cercando di sfuggire alle deportazioni.
In quel periodo di inattività forzata, Rita e Paola cercarono di dare comunque un contributo alla Resistenza, falsificando carte di identità per chi ne aveva bisogno. Rita in realtà avrebbe voluto unirsi ai partigiani, ma temeva di non essere adatta, così rispolverò il camice da medico e andò con la Croce Rossa a curare con abnegazione e dedizione i rifugiati di guerra, malati e denutriti, sfidando anche una terribile epidemia di tifo.
Solo nel 1945, a guerra finita, Rita tornò a Torino, dove riprese finalmente le sue ricerche, e poi si trasferì negli Stati Uniti. Doveva essere un breve soggiorno, invece rimase circa trent’anni.
Il resto è storia. Nel 1986 le ricerche di una vita le valsero il premio Nobel per la medicina.
Oggi è l’anniversario della morte di Rita Levi Montalcini, avvenuta il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni. Doveroso ricordarla per i suoi meriti scientifici, ma giusto anche ricordarla per il suo impegno negli anni più bui della discriminazione, della violenza, della guerra che lei stessa ha raccontato nella sua autobiografia “Elogio dell’imperfezione”, Baldini e Castoldi, 1987.
La farfalla della gentilezza

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